A Roma, negli spazi del Palazzo Esposizioni, fino al 3 agosto, è in corso la mostra “Mario Giacomelli. Il fotografo e l’artista”. Curata da Bartolomeo Pietromarchi e Katiuscia Biondi Giacomelli, l’esposizione rende omaggio al maestro della fotografia italiana in occasione del centenario della sua nascita.
Il percorso espositivo presenta una selezione significativa dell’intera produzione fotografica di Giacomelli, costituita da oltre 300 stampe, molte delle quali mai precedentemente esposte al pubblico. L’allestimento evidenzia la straordinaria capacità dell’artista di attraversare e contaminare diverse discipline artistiche, con particolare attenzione alle arti visive contemporanee.
L’esposizione si apre con un’opera pittorica del maestro, che offre un’interpretazione della realtà caratterizzata da un’evocazione lirica e trasfigurata nel segno dell’Informale. È proprio da quest’opera che si può comprendere appieno l’orizzonte visivo di Giacomelli e la complessità della sua opera fotografica.

Il percorso si sviluppa attraverso sezioni tematiche e include un confronto con le opere di cinque importanti artisti e fotografi contemporanei: Afro Basaldella, con le sue ricerche materiche, alchemiche e pittoriche, caratterizzate da un uso innovativo della luce e della materia; Alberto Burri, amico di Giacomelli fin dal 1966, con il quale condivise l’indagine sulla condizione umana e la sperimentazione materica, pur adottando mezzi espressivi differenti.

Il confronto tra Giacomelli e l’artista Enzo Cucchi si fonda sulla condivisione poetica: entrambi marchigiani traggono ispirazione dal territorio come fonte di suggestione e evocazione sognante. La loro arte invita a riflettere sulle molteplici possibilità di percepire e rappresentare il paesaggio, non solo come spazio fisico, ma anche come dimensione emotiva e culturale.

La mostra offre il dialogo, secondo me molto ben riuscito, con l’opera di Jannis Kounellis, artista dell’Arte Povera, evidenziando due approcci distinti ma complementari: le sculture visive di Giacomelli, presenti nelle serie “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e “E io ti vidi fanciulla”, catturano con intensità la realtà sociale e umana, trasmettendo un forte senso poetico e una profonda sensibilità verso le tematiche esistenziali e quotidiane. Nel mezzo l’installazione di Kounellis, composta da 12 sacchi di iuta pieni di pezzi di carbone che circondano una massa di occhiali, rappresenta un esempio potente volto a evocare significati complessi. I sacchi e il carbone simboli di un sistema industriale, di fatica e di contraddizioni di una società in rapida trasformazione intrappolano migliaia di occhiali, simbolo di percezione e conoscenza che, soffocati in questa scena, suggeriscono come la percezione possa essere oscurata o oppressa in un contesto di progresso e industrializzazione. Il contrasto tra il mondo materiale, rappresentato dai materiali e dall’oggettistica di Kounellis, e la dimensione spirituale e poetica delle immagini di Giacomelli crea una tensione tra sensibilità individuale e critica sociale, che arricchisce il dialogo tra le opere.
(Gli occhiali non costituiscono un elemento nuovo nell’universo artistico di Kounellis: erano stati già utilizzati dall’artista a Montalcino nel 2001, quando forò il coperchio di un pozzo in Piazza Santa Caterina, creando tre aperture da cui osservare un ammasso di 16.000 paia di occhiali sul fondo, simbolo di percezione e memoria.)

È poi il turno della celebre serie “Io non ho mani che mi accarezzino il volto”, presentata per la prima volta nella sua interezza e arricchita da provini e materiali di lavoro. Con intensità e sensibilità, Giacomelli cattura la “danza” delle tonache dei seminaristi durante i momenti di ricreazione nel seminario vescovile di Senigallia. In uno spazio sospeso tra tempo e spazio, tra movimento e quiete, si intrecciano immagini in bianco e nero che esplorano il confine tra sacro e quotidiano, offrendo uno sguardo intimo e poetico sulle vite di giovani chiamati alle vocazioni, tra momenti di leggerezza e profonde introspezioni. La scelta di ambientazioni e gesti spontanei conferisce alle immagini una forza universale, invitando lo spettatore a riflettere sulla delicatezza dell’identità e sulla sacralità nascosta nei gesti più semplici.

A completamento del percorso espositivo, gli scatti del il fotografo Roger Ballen, il quale ha più volte espresso ammirazione per Giacomelli. Le sue opere sfidano lo spettatore a confrontarsi con aspetti meno evidenti della società, lasciando spesso un senso di ambiguità e mistero.

Nell’ultima stanza, attraverso la ricostruzione dello studio dell’artista, si ha l’opportunità di immergersi nel suo mondo creativo: pareti rivestite di fogli, strumenti iconici come l’ingranditore e la celebre Kobell del 1955 si stagliano in primo piano, offrendo un’intima visione del processo artistico di Giacomelli.

Visitare questa mostra, curata con grande attenzione sia nell’allestimento che nelle scelte espositive, rappresenta un’occasione imperdibile per riflettere sulle tematiche universali affrontate da Giacomelli e dagli altri artisti coinvolti. È un invito a lasciarsi coinvolgere emotivamente e intellettualmente, contribuendo ad ampliare il proprio patrimonio di conoscenze ed emozioni in un’esperienza da non dimenticare.
-Nikla Cingolani