L’evento che cambiò la storia d’Italia e il ruolo di due talentuosi architetti marchigiani nel suo ricordo

Il 29 luglio 1900 Monza fu teatro di uno degli avvenimenti più tragici della storia italiana: l’omicidio del re Umberto I. Durante il rientro da un evento pubblico, il sovrano fu colpito mortalmente da un colpo di arma da fuoco sparato da Gaetano Bresci, anarchico italiano emigrato negli Stati Uniti. Questo tragico episodio segnò profondamente il destino della monarchia e della nazione, lasciando un’impronta indelebile nella memoria collettiva.

L’attentato e le sue conseguenze

Gaetano Bresci, originario di Coiano vicino a Prato, aveva vissuto per anni negli Stati Uniti, a Paterson, lavorando come calzolaio e impegnandosi nel movimento anarchico. Influenzato dalle repressioni e dal massacro di Milano del 1898, Bresci decise di agire come vendetta contro la monarchia, simbolo dell’oppressione. La sua azione portò alla morte di Umberto I, che di conseguenza venne sostituito dal figlio Vittorio Emanuele III, il quale dovette affrontare un’epoca di grandi trasformazioni e conflitti, segnata da scelte politiche che ebbero conseguenze significative per il paese.

La cappella

Il ricordo attraverso l’arte e l’architettura: il ruolo di due architetti marchigiani: Sacconi e Cirilli

A dieci anni dall’attentato, nel 1910, Monza vide la nascita di un monumento simbolico per ricordare il sovrano e onorare la sua memoria. Il progetto fu affidato all’architetto Giuseppe Sacconi (Montalto delle Marche, 5 luglio 1854 – Pistoia, 23 settembre 1905), tra i più importanti architetti italiani dell’epoca, noto per aver progettato il Vittoriano a Roma. Sacconi ideò una cappella espiatoria, un complesso monumentale che fu completato dal suo allievo Guido Cirilli (Ancona, 9 febbraio 1871 – Venezia, 30 gennaio 1954), originario delle Marche come Sacconi, che si occupò di apportare alcune modifiche al progetto originale, in vista dell’inaugurazione del 1910. La loro collaborazione rappresenta un esempio di come i talenti marchigiani abbiano contribuito a creare un monumento di grande valore simbolico e artistico.

La cripta e le corone in bronzo

Un patrimonio di arte e memoria

Il complesso si sviluppa su due livelli: la cappella e la cripta, entrambe decorate con mosaici di ispirazione bizantina che raffigurano motivi vegetali, santi e beati della Casa Savoia, oltre a simboli della Resurrezione. Al centro si staglia una stele in pietra d’Oggiono di 35 metri, coronata da mosaici bicromi, e una grande esedra di mosaici che impreziosiscono il sito.
La cripta custodisce circa 163 corone di bronzo provenienti da tutto il mondo, fuse in memoria del re, e un cippo in marmo nero segna esattamente il punto dell’attentato. Il soffitto, un cielo stellato adornato da palme, richiama il simbolismo cristiano del martirio. La cappella ospita opere di rilievo, tra cui la monumentale Pietà dello scultore Ludovico Pogliaghi, e oggetti simbolici come la corona dei Savoia, lo scettro e il Collare dell’Annunziata, testimonianza dell’omaggio di fedeli e popoli alla memoria di Umberto I.
Il progetto, probabilmente approvato dalla stessa Regina Margherita, incorpora anche il motivo della margherita, fiore simbolo di purezza e di speranza, che si ripete nella cancellata di ferro di Mazzucotelli, un noto fabbro ornamentista.

I bronzi con “La Pietà” di Ludovico Pogliaghi e particolari della cancellata con le margherite
Cippo in marmo nero che ricorda il punto esatto dell’attentato

Lo “stile nazionale”

L’idea di definire uno “stile nazionale” si sviluppò grazie all’opera di figure come Camillo Boito, che propose di rifarsi alle tradizioni storiche italiane, adattandole alle tecnologie moderne e alle diversità regionali. Edificio simbolo dello stile nazionale è il Vittoriano di Giuseppe Sacconi, scelto nel 1880 da Boito e dalla commissione, sostenendo la scelta del Campidoglio e la demolizione di parti dell’antico tessuto urbano di Roma per creare un’icona della città moderna. Il Vittoriano divenne così un modello per le successive opere pubbliche, rappresentando un patrimonio di arte e memoria collettiva.
Tra gli architetti che operarono in quegli anni, Guido Cirilli si distinse per il suo contributo in diverse città italiane, tra cui Monza, come già detto. Cirilli è considerato un importante rappresentante dell’ultima fase dell’eclettismo architettonico. Lavorò principalmente nelle città adriatiche di Venezia, Ancona e Trieste, ma si occupò anche di progetti a Roma, Loreto, Monza e Recanati; sua è la targa dei Caduti del 1923 e il Monumento ai Caduti del 1931.
Uno dei suoi allievi più illustri fu Carlo Scarpa, che lavorò nel suo studio veneziano dal 1926 al 1931, apprendendo l’attenzione ai dettagli e la cura per i materiali, caratteristiche che avrebbe poi portato avanti nella sua carriera.

Giardino, l’Esedra è ripartita in campate da lesene, suddivise in due ordini e decorate con mosaici in ciotoli bianchi e neri. Nell’ordine inferiore vi sono disegni geometrici, mentre in quello superiore vi sono motivi legati alla casa reale. Cirilli introdusse l’esedra per creare uno sfondo scenografico e isolare visivamente il monumento dal contesto industriale

Il sito rappresenta non soltanto un monumento memoriale, ma anche un importante luogo di riflessione sulla storia dell’arte e dell’architettura italiana. Un patrimonio che testimonia l’evoluzione dell’architettura italiana con l’unione tra tradizione e innovazione per conservare e celebrare la storia nazionale e il proprio stile. Il lavoro di Sacconi e Cirilli, due architetti marchigiani, ha così lasciato un’impronta duratura nella città di Monza, contribuendo a preservare la memoria di un evento cruciale per la storia italiana e a creare un luogo che ancora oggi invita alla contemplazione.

– Nikla Cingolani

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