nota di Rita Soccio
Intitolare una via, una piazza o uno spazio pubblico dovrebbe rappresentare per ogni amministrazione un momento solenne e gioioso, capace di unire la comunità nel ricordo di chi, attraverso il proprio impegno e la propria vita, ha saputo servire il bene comune. È bene ricordare che il sindaco, una volta eletto, assume la responsabilità di rappresentare tutte le cittadine e i cittadini, senza distinzione di orientamento politico o appartenenza. Governare significa includere, ascoltare, ricercare l’accordo più ampio possibile, specialmente nelle scelte che toccano la memoria collettiva.
Diverso è il comportamento di chi, forte di una maggioranza numerica, impone decisioni controverse senza ricercare un dialogo vero con l’intera cittadinanza. Questo modo di procedere tradisce la funzione pubblica e rischia di trasformare lo spazio comune in un terreno di scontro, anziché in un luogo di memoria condivisa. Uno spazio pubblico appartiene a tutti. Intestarne uno significa scrivere una pagina della storia della comunità, una pagina che deve essere letta e riconosciuta da ciascun cittadino e cittadina con rispetto e partecipazione non con risentimento o amarezza.
Se una scelta genera divisioni profonde, è evidente che non si sta perseguendo il bene comune ma si sta alimentando un clima di contrapposizione che nuoce al paese. Un’amministrazione che ambisce a costruire un tessuto sociale coeso e sereno ha il dovere di evitare ogni motivo di conflitto.
Un buon sindaco, soprattutto se si richiama ai valori dell’ascolto, non può permettere che una decisione carica di significato venga percepita come un atto di parte. Intitolare uno spazio pubblico deve essere, oggi più che mai, un atto di unificazione e rispetto, non un motivo di divisione.
La memoria comune non si impone, si costruisce insieme.
