Intervista a Franco Battaglia, docente di Chimica e Fisica dell’Università di Modena, saggista e da anni voce critica nei confronti dell’ambientalismo politico.
Una lunga conversazione che attraversa due grandi temi del dibattito pubblico contemporaneo: il caso ILVA e la narrativa dominante sul cambiamento climatico, analizzati attraverso la lente delle evidenze scientifiche e dei limiti – spesso ignorati – degli studi epidemiologici e climatici utilizzati per sostenere decisioni politiche drastiche.

Nella prima parte dell’intervista Battaglia sposta lo sguardo sulle imminenti conferenze ONU sul clima, definendole un fenomeno politico più che scientifico: una sorta di “secondo carnevale”, quest’anno ospitato a Belém, in Brasile.

Secondo Battaglia:

  • Da 30 anni le COP inseguono l’idea di controllare il clima riducendo la CO₂, ma le emissioni globali sono aumentate del 60%.
  • Il 2024 è stato un anno caldo, sì, ma per il forte evento El Niño, non per la concentrazione di CO₂.
  • Il riscaldamento degli oceani nel 2024 è stato di 0,037 °C, un valore fisicamente insignificante.
  • Il livello del mare cresce di 2–4 millimetri l’anno, trend stabile da decenni.
  • Ghiacci artici e antartici, copertura nevosa, frequenza di uragani e precipitazioni non mostrano variazioni preoccupanti.
  • Per Battaglia, pensare di “governare” un sistema complesso come il clima agendo su un singolo parametro è scientificamente illusorio.

Chiude con una provocazione: dopo trent’anni di incontri conclusi senza risultati, forse la COP31 sarà l’ultima.

Battaglia, quindi ripercorre il 2012, anno in cui la procura sequestrò gli impianti dell’ILVA di Taranto ritenendoli responsabili di “emissioni oltre i limiti” e di un “eccesso significativo di mortalità”.
Ma – ricorda il professore – gli stessi magistrati ammettevano pubblicamente di non sapere se il provvedimento avesse una reale “valenza scientifica”.

Per Battaglia, il risultato finale è stato drammatico: la distruzione di un’eccellenza industriale italiana fondata su studi incerti, interpretazioni forzate e decisioni politiche che hanno dato più peso alla pressione mediatica che ai numeri.

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